DA NAPOLI ALLA CINA, SHANGHAI : IL RACCONTO DI UNA STUDENTESSA

La Cina è ancora oggi, per noi napoletani, il paese esotico e distante – non solo geograficamente- per eccellenza. Terra di miti antichi, capodanni esplosivi, imperatori e draghi. E di tradizioni, abitudini e life-style profondamente diversi dai nostri. Ma è davvero così?
Ce lo racconta D. D., studentessa di lingua e cultura cinese dell’università degli studi di Napoli “L’Orientale”, che in quella terra lontana ci è stata per un bel po’. “Ho scelto di studiare il cinese dopo un corso d’orientamento a scuola- ci racconta- ma, oltre alla passione per la materia, nella mia scelta c’è stata anche tanta lungimiranza. Già 5 anni fa, quando ho iniziato il mio percorso di studi, si andava delineando l’importanza che la Cina avrebbe assunto in ambito mondiale.” A questa intuizione si è aggiunta poi una forte curiosità per la cultura e la storia cinese. “Nei programmi scolastici della scuola, della Cina e dell’oriente in genere si parla ancora troppo poco. E così un neo-diplomato si trova a non sapere quasi nulla di questi popoli.”
Da lì la volontà di scoprirne di più. “Al primo anno di corso, le classi di cinese sono sempre numerosissime, qualcosa come quattro/cinquecento studenti. Ma sono davvero pochi quelli che non ‘gettano la spugna’. Il cinese richiede molta dedizione, molto impegno, ed inoltre reperire materiale ‘extra’ (film, libri) con cui esercitarsi è davvero difficile. Di quella classe iniziale ora solo io e una decina di altri colleghi siamo prossimi alla laurea.”
Ma in Cina come ci è arrivata? “Al terzo anno di corso- ricorda- decisi di andare a Shanghai, ad approfondire e praticare la lingua presso un’università gemellata con “L’Orientale”. Fu la mia famiglia a sostenere tutte le spese, ed in più l’università non mi riconobbe crediti per quell’importante soggiorno di studio. Insomma, i sei mesi trascorsi lì mi hanno fatto ‘saltare’ un semestre all’università. Ma è stata comunque un’esperienza che avrei rifatto.”
Infatti, nel 2011, D. è tornata nella ‘sua’ Cina, questa volta con una meritata borsa di studio. Per compenetrarsi meglio nella vita cinese. Dunque, come vive un napoletano in Cina? “A mio avviso i napoletani si adatterebbero a vivere ovunque!- afferma la studentessa, a giusta ragione- Ma i cinesi ti rendono l’impresa più semplice: sono estremamente cordiali, e anche se- soprattutto le persone anziane- non parlano l’inglese, trovano sempre il modo di aiutarti, magari a gesti o accompagnandoti ovunque tu debba andare. Shanghai è, come Napoli, un’importante città di mare, un porto storico, da sempre aperta agli scambi e agli stranieri. Forse proprio per questo gli abitanti di Shanghai hanno il nostro stesso senso dell’ospitalità.”
Gli stessi cinesi che da noi tendono a non integrarsi, a conservare le proprie abitudini, e a mantenere all’intero della comunità le proprie relazioni (le China-towns sparse in Europa e nel mondo ne sono la prova) nel loro paese sono invece estremamente aperti e solidali con gli stranieri. Sfatato, insomma, il mito del cinese robotico e privo di empatia.
“I cinesi assomigliano per molti aspetti ai napoletani. In più di un’occasione mi è sembrato di non aver mai lasciato la mia città- ci racconta D. Su tutti mi viene in mente un episodio ‘simpatico’: appena arrivata a Shanghai, decine di delinquentelli cercavano di rifilarmi merce contraffatta, e ‘pacchi’. Non sanno che Napoli è una giungla caotica quanto la loro, e che chi ci cresce è abituato a uscire di casa con coltello tra i denti.” Ma questo i piccoli malviventi cinesi non lo sanno, chiamano qualsiasi occidentale “americano”, e credono di poter gabbare qualunque straniero facendo leva sulla sua ingenuità. “Tanto quello è americano, è ricco, non gli facciamo un gran danno” Diana ci spiega che è così che la pensano questi scugnizzi di Shanghai.
Naturalmente, oltre a questa furbizia da poverelli, ci sono anche atteggiamenti positivi che hanno ricordato alla studentessa quelli delle persone della bella città partenopea. “Tra le persone che mi è rimasta più nel cuore- ricorda Diana- c’è senza dubbio una signora che lavorava al campus dove alloggiavo. Sapeva che, stando per lungo tempo lontana da casa, sentivo nostalgia delle mie abitudini, e così tutte le mattine mi preparava il caffè. E controllava che la giacca che indossavo fosse abbastanza pesante perché ‘farà molto freddo oggi, forse pioverà, si copra signorina!’. Si preoccupava per me come una nonna.”
Gli orari dei pasti e la cucina cinese sono invece una differenza sostanziale. “Per quanto io li ami, dopo mesi e mesi di piatti cinesi mi ci voleva un buon pranzo a base di pasta- ci spiega- e lì per fortuna i prodotti italiani si trovano, non solo la pasta, ma anche il caffè.” Un’altra diversità importante che Diana ha avuto modo di sperimentare è stata quella ospedaliera. “A Shanghai ci sono sia ospedali occidentali, molto costosi, sia ospedali orientali. Capitai in uno di questi per una lieve bronchite, che magari a casa non mi avrebbe minimamente preoccupata, ma che lì mi insospettì per la sua durata. Dopo più di un mese di tosse e notti insonni, e dopo aver finito la mia scorta di medicinali, fui temeraria e decisi di provare la medicina cinese. Gli ospedali orientali sono molto caotici, e per la mia bronchite mi diedero un bibitone verde dall’aspetto inquietante. Non chiesi cosa fosse, e bevvi tutto d’un fiato. Ventiquattro ore dopo era guarita.”
E la gioventù cinese? Assomiglia a quella nostrana? “I giovani cinesi non ci assomigliano molto-spiega la ragazza- loro sono molto focalizzati sui loro obiettivi, e vivono solo in funzione di quello. Non si concedono pause, sono concentrati a riuscire nel loro scopo nel minor tempo possibile. Non si rilassano nemmeno nel week-end. Un sabato sera entrai in un fast food alle quattro e mezza del mattino, e trovai una ragazza che studiava. Mi disse che era sotto esame, e che nel dormitorio dove alloggiava, un casermone indecoroso dove divideva la stanza con una dozzina di altre studentesse, le luci venivano spente alle undici. Ma lei doveva studiare, dare quell’esame, ripagare i sacrifici dei genitori che da un piccolo paesino di campagna l’avevano mandata a studiare in città.” I giovani orientali sono molto più razionali di noi occidentali, sono abituati ad operare in sinergia e sono per questo perfetti per i lavori in team. Ma ammirano molto in noi la creatività, la spontaneità nell’agire, quel naturale andare fuori dagli schemi prestabiliti e quella originalità propria del mondo a Occidente, che è l’altra faccia- quella bella- di una società spiccatamente individualistica.
Ma un napoletano potrebbe vivere in Cina? “ Personalmente- dice D.- io ci tornerei, e ci tornerei ancora. Ma non rimarrei a viverci. E’ una realtà troppo distante dalla nostra. E’ una civiltà costantemente sotto pressione, le città sono in continua espansione, e da ciò deriva un continuo mutamento della realtà sociale. Inoltre le idee liberali faticano ancora ad affermarsi. E’ stranissimo, nel 2013, che ci sia ancora la censura per una banale video-clip musicale. Tutta via non mi meraviglierebbe se, nel giro di pochi anni, la Cina raggiungesse una modernità superiore alla nostra. La loro velocità ci crescita è impressionante, quello che qui abbiamo passato in 50 anni lì lo passano in 5.”
E quindi, un laureato in cinese che non ha intenzione di trasferirsi lì, cosa può fare? “Potrei lavorare nell’ import/export, anche se per il percorso di studi che ho attuato risulterebbe una scelta abbastanza sterile. Preferirei lavorare nell’ambito turistico, ormai i cinesi- i nuovi ricchi cinesi- sono quelli che più spendono per i viaggi e la cultura. Un’altra alternativa interessante sarebbe quella di lavorare con le eccellenza italiane, nel settore del lusso.” E già, perché i prodotti italiani rimangono sempre i più ambiti dai ricchi di tutto il mondo, e di tutte le epoche.