DALLA CINA AL GIRO D’ITALIA: JI CHENG IL PRIMO CINESE ALLA CORSA ROSA

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In Spagna lo chiamano il ‘chino’. Come Alvaro Recoba, il calciatore uruguayano che nell’Inter ha lasciato più rimpianti che brandelli di storia. Da noi, il cinese Ji Cheng è ‘solo’ uno dei 207 iscritti al 96° Giro d’Italia. Il suo obiettivo? Arrivare a Brescia, il 26 maggio. Non è un’impresa da poco, ma nemmeno un sogno proibito. La sua è un’ambizione legittima, dopo il 175° posto ottenuto alla Vuelta dell’anno scorso. Resterà comunque nella storia della corsa rosa, come il primo cinese in gara. Un miliardo e trecento milioni di abitanti, e un numero sconfinato di biciclette. Facile comprendere come se la Cina è vicina, anche il Giro e la passione per le due ruote ne beneficino. E difatti al seguito di Cheng ci sono per la prima volta nove giornalisti inviati, per la prima volta la tv cinese ha acquistato i diritti della corsa rosa.  Cheng ha partecipato a due edizioni della Milano-Sanremo: l’anno scorso andò in fuga e vi rimase a lungo, prima di rientrare nei ranghi di un anonimato solo apparente, visto che in Cina è una specie di eroe nazionale. Ji arriva da un Paese dove andare un bici è normale come mangiare la pizza a Napoli, la città che ha ospitato la partenza della corsa rosa. Talmente normale che finora quel gesto quotidiano non era mai sfociato in passione agonistica di alto livello. ‘Il Giro è una delle competizioni più importanti – ha detto Cheng nella conferenza stampa prima della partenza del Giro -. Sono arrivato in Italia per la prima volta l’anno scorso e mi è piaciuta subito. Mi piace il cibo e sono molto contento di disputare questa competizione’.

Ji arriva da Harbin, città di quasi 10 milioni di persone, nella provincia di Hei Long Jiang (nord-est della Cina, a poca distanza dal confine russo). Ad Harbin andare in bici è più complicato, faticoso e crudele del normale, dal momento che le temperature invernali si aggirano intorno al -35 gradi, toccando punte di -45. Figlio di una casalinga e di un ‘interior designer’, Cheng racconta che ai genitori è stata inflitta una multa di 3 mila yuans (poco meno di 400 euro), per avere violato la ‘regola del figlio unico’, dopo la nascita di sua sorella. I pedali sono sempre stati la sua passione: non una necessità, ma un obbligo, come per la stragrande maggioranza dei cinesi. Ma anche un modo di misurarsi con il mondo. ‘Ho sempre gareggiato e vinto’, racconta il 25enne del Team Argos-Shimano, diretto da Addy Engels. Nel 2002 partecipò a una gara di 12 giri intorno a Laoshan e nel 2006 venne ingaggiato dalla Shimano, che cercava corridori da lanciare in Europa. ‘Mi chiesero se sapevo cucinare e parlare l’inglese, risposi di sì. L’anno scorso alla Vuelta ha lavorato per il tedesco John Degenkolb, che ha vinto cinque tappe e sarà il suo capitano anche al Giro. Ma c’è di più: la sua presenza in Italia ha calamitato l’attenzione dei media cinesi, che lo seguiranno da Napoli a Brescia, trasmettendo le immagini della corsa rosa in estremo oriente, tramite il canale sportivo CCTV-5. Nove gli inviati che sono sbarcati ai piedi del Vesuvio per spingere Ji da sud a nord, attraverso quasi 3.500 chilometri di salite, discese, ‘trappole’ disseminate in ogni dove. L’anno scorso venne prodotto un documentario sulla sua esperienza alla Vuelta, quest’anno si replica: stesso canale, scenari diversi. Ji si sente come in missione, sulle strade italiane. ‘In Cina i corridori hanno ancora molto da imparare – dice – io voglio dimostrare di essere in grado di gareggiare nelle grandi corse. Andare al Tour sarebbe il massimo’. Intanto, gli tocca il Giro, come al greco Ioannis Tamouridis (Euskaltel): anche lui rappresenta la propria nazione per la prima volta al Giro.