IL FUTURO DI MARCELLO LIPPI TRA LA NAZIONALE CINESE E LA DIRIGENZA DI SQUADRE ITALIANE
Nella lunga intervista rilasciata al Corriere dello Sport, Marcello Lippi ha parlato anche del calcio italiano, partendo dalla squadra campione d’Italia, la Juventus: «Conte è rimasto? Più che naturale. La Juve era il suo sogno. E’ stato molto bravo. Nel mio particolare podio metto sempre la società in vetta, anche quando c’è l’allenatore che è bravo: in fondo l’allenatore chi lo sceglie? Antonio ha riportato lo spirito della Juve. Cosa è la juventinità? Ho sempre pensato che fosse questa rabbia, questa ferocia nella ricerca della vittoria, in ogni momento, anche durante i viaggi. Antonio ha riportato questo, sul campo era un trascinatore, basta pensare a come parlano di lui i giocatori. Una cosa che ho sempre pensato è che prima di essere protagonista in Europa devi esserlo in Italia. Gap tra la Juve e il Bayern ancora grande? Sì, ma lo è tra il Bayern e tutte le altre squadre, compreso il Barcellona».
A proposito, invece, di Inter, Lazio, Napoli e Roma, il tecnico del Guangzhou Evergrande ha spiegato: «Mazzarri come Lippi in carriera? Lo ricordava anche Allegri quando è andato al Milan… Io penso che sia pronto per qualsiasi squadra, a lui mancava un po’ di esperienza internazionale, se l’è fatta col Napoli, ha fatto una Champions fantastica, dimostrando la capacità di gestire una squadra, senza privilegiare qualcuno o qualcosa. La crescita viene da queste cose qua. Dalla capacità di alzare trofei. Poi tutti ti danno retta. Non si deve mollare niente. L’unica maniera per vincere qualcosa è cercare di vincere tutto. Non è da presuntuosi. Cosa non ha funzionato tra me e l’Inter? Probabilmente la mia juventinità. West dichiaratosi più giovane di 12 anni? Che tipo. Un giorno eravamo tutti a tavola con la squadra e lui non c’era. Dico a uno dello staff: vai a vedere che sta facendo Taribo. Viene lui e mi dice: “Stavo pregando mister, dio mi ha detto che oggi devo giocare”. E io: “strano, a me Dio non ha detto niente… vieni a mangiare che è meglio, pregherai dopo. Napoli a Benitez? Mi dà la sensazione di una persona la cui forza è la semplicità. Mi piace come si propone: porterà un’esperienza internazionale, una capacità di gestione di campioni che a Napoli, dopo un personaggio totalizzante come Mazzarri, serviva. Lazio di Petkovic? Alla Lazio si possono fare solo i complimenti. Non so se sono cambiate le opinioni su Lotito, lo criticavano molto un tempo, ma mi sembra che faccia sempre squadre importanti, scelga persone giuste. Petkovic poi fa un calcio moderno, ma con valori antichi. Una grande stagione la sua. Roma? Ora ha bisogno di un allenatore su cui riporre tutta la fiducia, e che poi vada sostenuto, comunque. E’ un peccato, perché la Roma ha un potenziale di primissimo livello, con un programma condiviso e difeso da tutti può tornare grande».
Spazio poi ai discorsi sulla Nazionale: «Chi in passato ha vinto la Confederations Cup non ha poi mai vinto la Coppa del Mondo. Per questo dico che questo torneo va preso come un collaudo generale. Comunque l’Italia di Prandelli è una grande Nazionale, nel solco delle migliori, nello spirito della mia, quella mondiale. Balotelli? Mario non era pronto quando ero io il ct. Il presidente Abete, che stimo molto, sa che gli dissi che Balotelli sarebbe stato un pilastro del nuovo corso, con me o senza di me, ma nel 2010 non era pronto e non era giusto chiamarlo, non aveva un atteggiamento tale da giustificare il premio della nazionale maggiore. Il mio grande rimorso è stato Giuseppe Rossi, mi sono pentito di non averlo portato in Sud Africa. Fa parte delle mie scelte sbagliate».
Infine, quelli sul futuro: «Ci potrebbe essere un po’ di… Cina. Ho 65 anni, un impegno fino a novembre 2014 con l’Evergrande, so che vorrebbero che allenassi la nazionale, e sì, diciamo che potrebbe essere quella la prossima tappa. Vedremo…Se volevo tornavo in Europa, in un grande club, anche in questo gran balletto delle panchine, potevo parlare con uno sceicco (col Psg, ndr)… Io direttore generale? Ecco, direttore generale in una società importante, anche in Italia, scegliere l’allenatore, parlare con lui di giocatori, senza pesare sulle sue scelte tecniche, magari mettere per iscritto che non andrò mai in panchina. Io non farò più l’allenatore. Ma so che potrei dargli una mano».